LET IT SNOW!- lassa fiuchè
Alfonso Ramelli: Io ho i ricordi di settant’anni fa circa. Ho iniziato con lo sci escursionismo negli anni Conquanta. Però l’attività era già stata sviluppata tra le due guerre e soprattutto durante l’ultima guerra perché i militari che erano ben attrezzati si erano portati al Cristallina, al Passo San Giacomo dove dovevano salire e scendere. L’avevano fatto senz’altro per dovere ma anche con una certa qual passione. E di queste esperienze erano rimaste delle leggende e si raccontava e si sentivano le storie. Io ho iniziato a fare sci escursionismo con le pelli di foca negli anni 1951 e 1952 perché la slittovia che saliva da Airolo a Culiscio negli anni Conquanta era rimasta bloccata e non la misero più in funzione. Allora ho iniziato a salire a piedi a Culiscio e Pesciüm, andando poi fino in Comascné e portandomi così sempre un po’ più lontano fino a Varozzei. Ho fatto così allenamento fino a trovare delle persone più anziane che erano ben allenate e che mi hanno poi portato su altre montagne come sul Cristallina, sul Corno, sul Blindenhorn o a Cadlimo per poi scendere a Sedrun. Ad andare a Sedrun a quell’epoca sembrava di andare in America. Si tornava poi con il treno. Si facevano anche delle escursioni ad Andermatt e più a Nord e sembravano delle avventure grandiose. C’era un gruppo di persone più anziane di me che per Pasqua andavano sul Sustenhorn e sembrava che andassero al Polo Nord! Abbiamo continuato adagio adagio e facendo anche sforzi con un’attrezzatura molto semplice. Le pelli di foca si affrancavano agli sci con dei cinturini, si usavano le pelli di foca militari che erano rimaste dalla guerra e quando si rompevano i cinturini perché la neve era molto gelata si andava dal ciabattino a farli aggiustare. Si portavano sempre con se delle corde e del filo di ferro in caso si rompessero durante la salita.
Assieme all’attività alpinistica si sviluppò anche un’attività molto sociale. In gruppo si andava in Val Formazza, a Maria Luisa, sia per sciare che per mangiare, perché era a buon mercato e si mangiava bene e… anche un po’ per bere. Si faceva festa. Così abbiamo continuato a fare anche negli anni ’60, quando andavo a scuola, negli anni ’70 e poi anche quando entrai nel servizio militare. Piano piano ho esteso le zone che conoscevo dal Ticino, al Vallese, ai Cantoni Uri e Grigioni.
Ugo Ramelli: Nel 1968 ho aperto un piccolo negozio di sport con l’amico Pilotti Roberto ad Airolo. Lì il materiale era ancora tutto vetusto: le scarpe erano ancora tutte in pelle. Ci siamo subito accorti che il materiale stava cambiando velocemente. Un paio di anni più tardi c’è stato un grande cambiamento nelle scarpe: dalla scarpa in pelle siamo passati alla scarpa in plastica. La prima ditta a produrle fu la Reichle e poi anche la Lange. L’evoluzione fu molto forte ma non fu facile perché la gente si adattava alla novità ma molto lentamente. Questo perché cambiava totalmente anche il modo in cui si sciava. Però il nuovo materiale ha avuto un grande successo in quanto ci si è accorti che la gente imparava molto più velocemente a sciare visto che la tenuta dello sci sulla neve era molto migliore.
Aldo Maffioletti: La prima funivia fu inaugurata e aperta nel 1960. Era la grande novità. Io mi ricordo che avevo 12 anni e poter salire con una funivia era qualcosa “fuori di testa” per me e per la mia famiglia che non andavamo altrove a sciare. Però mi ricordo che due anni dopo, grazie alle piste della funivia, abbiamo iniziato anche a fare un po’ di sci fuori pista. Erano i primi anni in cui c’erano anche gli attacchi di sicurezza. Io dovevo cambiare gli sci e mio padre si era interessato. A quell’epoca si andava ad acquistare gli sci da Luciano Lombardi che aveva un negozio. Con mio padre andammo al negozio e lì ci mostrarono il nuovo attacco. L’impressione era quella di maggior sicurezza e che non ci saremmo più potuti far male. Scelti gli sci, Luciano dice che però, per un ragazzino che non ha un grande peso, non sarebbe valsa la pena acquistare gli attacchi di sicurezza poiché l’attacco entra in azione solo a partire da un certo numero di chili. Allora con mio padre comprammo degli attacchi normali. Poi, il 3 febbraio stavamo scendendo in tre da Pesciüm dalla strada che ora porta a Culiscio e c’era la neve incrostata. Io ho infilzato le punte nella neve e sono caduto in avanti fratturandomi una tibia. Non c’era la Rega all’epoca. Arrivò dopo 20 minuti la slitta canadese per portarmi dal medico Pino Bronz di Airolo. Lui era divenuto specialista nel ricomporre le fratture. Mi ricordo che era un sabato e quando sono arrivato da lui saranno state le cinque o le cinque e mezzo. Feci le radiografie e mi disse che non c’era nessun problema e che mi avrebbe ingessato la gamba. Finito tutto, dovetti andare a casa con la gamba ingessata e rimanere a letto per quattro settimane e passarne ulteriori due con le stampelle. Il momento più bello di quel periodo era al mattino quando potevo leggere a letto e nel pomeriggio quando arrivavano i compagni di classe a portarmi i compiti e a dirmi cosa avevano fatto. In questo senso, l’attacco di sicurezza per me è rimasto un componente dello sci molto particolare perché vi avevamo rinunciato per via del peso, ma poi è capitato comunque l’incidente. Devo dire che comunque, da lì in poi, non ho più avuto altri incidenti sugli sci.
Fernanda Bolliger: Io utilizzavo degli sci che erano vecchi ed erano già appartenuti ad un cugino di mio padre. Poi quando per Natale ho ricevuto gli sci nuovi sono andata con mio padre a sciare. A quel tempo la strada per andare a Nante non era ancora battuta e scendevano con le mucche per farla. Abbiamo fatto quella strada con mio padre e Delio e quando siamo arrivati a Nante io ho rotto gli sci nuovi. É stato per me un grande dispiacere, anche se poi, sono riuscita a tornare a casa ancora con gli sci ma su una gamba sola. A me piaceva molto andare a sciare. Mio padre era molto bravo e faceva sia gare che escursioni fino ad Andermatt. Lui era socio dello Sci Club ma faceva anche parte del corpo militare grazie al quale, probabilmente, ha imparato a sciare, anche se io non mi ricordo. Con i militari andava sul San Gottardo. In quell’occasione si legavano in cordata e andavano sempre almeno in tre. Si attaccavano con la corda per non perdersi e una volta, ricordo, avevano preso con sé anche una damigiana di olio. Il vento continuava ad alzare la neve e loro facevano fatica andare avanti. In quel momento l’olio gelò e la bottiglia di vetro scoppiò. Però, alla fine, riuscirono ad arrivare al San Gottardo e furono molto felici.
Lo sci lo praticavano un po’ tutti. Specialmente i paesani che dovevano andare ad accudire le mucche nelle stalle soprattutto al mattino presto. Allora costruivano loro stessi degli sci, anche se fatti in qualche maniera. Anche l’attacco non doveva essere un gran ché ma però si arrangiavano e grazie ad essi potevano fare il loro lavoro. Trovo che questo è stato molto bello.
Pasquale Genasci: Anche mio papà era capace a sciare ma calcolo che abbia imparato sia grazie al militare, sia perché doveva andare in giro per lavoro.
Fernanda Bolliger: Si, perché una volta, i vecchi che dovevano fare la strada per andare al San Gottardo e usavano delle ghette ben imbottite fatte a mano dalla mamma o da qualcuno. Mi ricordo perché le avevamo in casa.
A quel tempo però andavano più che altro a piedi perché dovevano andare a spalare la neve.